IL TERRITORIO


UN PAESAGGIO STORICIZZATO

Area di spietramento nei pressi della Valle Giumentina
Area di spietramento nei pressi della Valle Giumentina

Per “archeologia del paesaggio” si intende lo studio in un determinato comprensorio dei fattori antropici, di quelli naturali e dei risultati materiali e delle loro interrelazioni. La varietà dei luoghi e delle risorse naturali insieme alle attività umane rendono il paesaggio peculiare. Attraverso l’osservazione delle trasformazioni paesaggistiche è possibile contestualizzare la vita e la storia dell’uomo in un determinato territorio. Il paesaggio, quindi, assume la valenza di fonte storica e consente di recuperare i ruoli e le funzioni ad esso attribuite dall'uomo. Ad Abbateggio eremi medievali, strutture in pietra a secco, masserie e ripari sottoroccia testimoniano come la simbiosi uomo-natura è stata fondamentale per la trasformazione degli elementi paesaggistici.


LE COSTRUZIONI DI PIETRA A SECCO

Mulattiera con muretti di contenimento in pietra a secco
Mulattiera con muretti di contenimento in pietra a secco

La presenza abbondante di pietra sulla Maiella ha determinato l’interazione più vistosa tra l’uomo e l’ambiente. L’elemento lapideo, da ostacolo per la coltivazione della terra, si è trasformato in risorsa grazie allo spietramento, cioè la raccolta delle pietre per recuperare spazi da destinare alle colture. Dapprima l’operazione di spietramento ha prodotto cumuli di materiale litico, alcuni dei quali ancora visibili; in seguito le pietre sono state reimpiegate, senza bisogno di lavorazione, per la costruzione di muretti di terrazzamento e delle caratteristiche capanne in pietra a secco, conferendo un’impronta inconfondibile al paesaggio. Queste ultime erano ripari spontanei sorti in grande quantità soprattutto nel XIX secolo, in seguito all'occupazione dei terreni di media ed alta montagna a scopo agricolo più che pastorale: esse rappresentavano il modo più razionale ed economico di sfruttare la risorsa inesauribile rappresentata dalle pietre tolte dai campi, in modo da coniugare l’utilità all'occupazione del minor spazio possibile. I muretti di pietra a secco nascono, come le capanne, dalla necessità di liberare dalle pietre i terreni pedemontani adibiti ad uso agricolo.

Capanna in pietra a secco
Capanna in pietra a secco

Nel momento in cui i terreni pianeggianti erano stati tutti occupati, si pose la necessità di recintare e terrazzare i pendii più difficili da coltivare. I terrazzamenti seguono l’andamento delle curve di livello e sono anch'essi costruiti a secco senza leganti o malte; la grande stabilità, che ha consentito loro di resistere praticamente intatti fino ad oggi, è dovuta ad una particolare struttura che facilita il drenaggio dell’acqua. In alcuni casi capanne, muretti e terrazzamenti venivano realizzati nello stesso contesto, dando vita ai cosiddetti "complessi agro-pastorali". Il complesso agro-pastorale, infatti, era costituito da un muretto che fungeva da recinzione di un'area all'interno della quale venivano costruite una o più capanne, altre recinzioni per custodire gli animali o per tenerli lontani dalle coltivazioni, e, nel caso di terreni scoscesi, anche dei terrazzamenti. 


TECNICHE E TIPOLOGIE DELLE CAPANNE DI PIETRA  A SECCO

Tipologia in base alla pianta
Tipologia in base alla pianta

Da un punto di vista tipologico, le capanne in pietra a secco vengono distinte in base alla loro forma esterna, alla pianta e al tipo di ingresso.  Definite impropriamente anche “tholoi”, le capanne locali sfruttano come questi ultimi la tecnica trilitica non spingente, con massi disposti in filari progressivamente aggettanti a formare una falsa cupola. Si tratta di una metodologia costruttiva abbastanza ripetitiva nella quale la consistenza muraria fungeva da punto di riferimento: stabiliti l'ampiezza e lo spazio abitativo interno con una prima posa di pietre, si procedeva successivamente a realizzare un basamento con l'incastonatura delle pietre al fine di ottenere il punto di scarico dei pesi. 

Tipologia in base all'alzato e alla copertura
Tipologia in base all'alzato e alla copertura

La terza e ultima fase costruttiva prevedeva l'alzato della struttura, tendente a chiudersi verso l'alto in modo da realizzare una sorta di tetto chiuso. Agricoltori e pastori avevano acquisito una grande praticità nella realizzazione di queste capanne, non soltanto nella scelta e nella disposizione delle pietre senza l'ausilio di nessuna malta o legante, ma anche nell'intuizione di dover disporre i massi non lavorati in modo da scaricare il peso sempre in verticale e mai lateralmente. Solo in questo modo era possibile ottenere una capanna a falsa cupola che non corresse il rischio di crolli. 

Tipi di ingresso
Tipi di ingresso

Visitando il territorio della Maiella, e di Abbateggio in particolare, ci si trova davanti un vero e proprio "paesaggio costruito". La disposizione dei ricoveri, dei muretti e delle aree terrazzate, infatti, non è casuale ma frutto di un'osservazione preliminare che veniva condotta sul posto. I contadini e gli allevatori hanno conferito al paesaggio un ordine e un'impronta riconoscibili: se a prima vista queste strutture sembrano collocate a casaccio, in realtà rispondono alle esigenze delle attività agro-pastorali. Realizzare un complesso era un lavoro faticoso come testimoniano le dimensioni delle pietre impiegate; inoltre occorrevano tempo e manodopera, in quanto era un'attività da condurre parallelamente al pascolo e al lavoro dei campi. 


IL COMPLESSO AGRO-PASTORALE DELLA VALLE GIUMENTINA

Complesso agro-pastorale della Valle Giumentina: la capanna più grande della Maiella
Complesso agro-pastorale della Valle Giumentina: la capanna più grande della Maiella

Tra i diversi complessi agro-pastorali sparsi sulla Maiella quello presente nella Valle Giumentina è uno dei più caratteristici, in quanto ha la particolarità di contenere la capanna di pietra a secco più grande mai costruita sulla Maiella e nell'intero Abruzzo. La struttura principale a pianta tonda, infatti, è costituita da una capanna a gradoni concentrici che si sviluppa su due piani, dando vita ad una costruzione che oltre ad essere la più grande è anche l'unica ad avere più piani. Gli ingressi sono due. Il primo al piano terra consente l'accesso dall'interno della recinzione, mentre il secondo ingresso posto di lato permette l'accesso al piano superiore dal di fuori della recinzione. Il complesso è completato da altre piccole capanne a pianta quadrata esterna alla recinzione principale. 


CASALI, MASSERIE E RIPARI SOTTOROCCIA

 Altri elementi di caratterizzazione paesaggistica sono i casali, le masserie e i ripari in grotta sparsi sulla Maiella. Nei dintorni del borgo di Abbateggio sono presenti masserie e casali che testimoniano, insieme agli aspetti architettonici della casa rustica abruzzese e alle attività ad essa collegate, soprattutto l'allevamento ovino e la transumanza verticale. Dal punto di vista costruttivo la pietra locale veniva sapientemente lavorata e organizzata, al fine di ottenere strutture integrate negli spazi funzionali alle attività legate alla pastorizia. Le stalle poste al piano terra dovevano essere ampie, in modo da garantire ai numerosi capi di bestiame un ricovero durante la stagione invernale. Al piano superiore erano presenti la cucina e il dormitorio. Le attività condotte nella masseria erano organizzate in maniera molto rigida e verticistica: a capo si trovava il "massaro", che di norma coincideva con il proprietario degli armenti, delle terre e del casale; altre figure sottoposte al massaro erano addette alla mungitura, alla lavorazione del formaggio e alla vendita. Il pastore propriamente detto, invece, era colui il quale si occupava esclusivamente del gregge al pascolo. Oggi molti casali e masserie sono stati restaurati secondo la tipica tradizione legata alla pietra della Maiella e sono stati trasformati in strutture ricettive specializzate nel turismo rurale. 

Riparo sotto roccia
Riparo sotto roccia

I ripari in grotta, invece, erano legati alla pratica della transumanza verticale. La conformazione geomorfologica degli ambienti della fascia collinare e medio montana della Maiella è caratterizzata dalla presenza di ampi valloni con pareti rocciose, grotte e spelonche che venivano a rappresentare un ricovero già pronto per i pastori al seguito delle greggi. Questi spazi, infatti, necessitavano di poco lavoro per poter essere "abitati":  per squadrare lo spazio si effettuava uno scavo sotto la parete, che veniva recintato con muri di pietra e legno, prevedendo un ingresso. Anche il bestiame veniva ospitato all'interno, al riparo, o all'esterno con la realizzazione di uno stazzo in pietra a secco. I pastori che soggiornavano nei ripari in grotta durante la stagione estiva conducevano una vita molto dura: anche la produzione del formaggio, infatti, veniva effettuata all'interno delle grotte. Quando il riparo era posto a poche ore di cammino dal paese, il pastore scendeva a valle quotidianamente per poter consegnare il latte ai propri familiari. Il fenomeno della transumanza verticale ha avuto in Abruzzo una larga diffusione, tanto che in tutta la Maiella si contano oltre 300 grotte pastorali, ed oggi è ancora praticata ad Abbateggio, dove alcuni pastori, che in inverno sostano sui pascoli della Valle Giumentina, durante l'estate si spostano in quota.


GLI EREMI

Il passaggio dall'età romana a quella cristiana avviò una fase culturale in cui la consolidata tradizione dei culti pagani diffusi sulla Maiella, come i riti agrari e dell'acqua, e altre pratiche sacre, vennero inglobate dalla nuova religione attraverso un processo sincretico e di riorganizzazione territoriale. Già in età altomedievale, infatti, accanto alla diffusione dei primi ordini monastici, dei conventi e delle abbazie, sorsero una miriade di altri insediamenti dal carattere essenziale e legati alla presenza degli eremiti. Questi uomini vivevano nell'isolamento e si ritiravano in ambienti inaccessibili ed inospitali, dove condizioni estreme rendevano l'esistenza molto dura e faticosaIl territorio inaccessibile e la natura selvaggia della Maiella hanno attirato monaci ed eremiti alla ricerca di luoghi dove potersi ritirare in preghiera. Nel Medioevo sono stati addirittura due i monaci che si sono rifugiati su queste montagne e che poi sono diventati papi: Desiderio di Benevento, che diventerà papa col nome di Vittore III, e Pietro Angeleri, futuro Celestino V. Proprio a quest'ultimo sono legati eremi e ripari che ancora oggi testimoniano la ricerca di solitudine e di libertà. Molti furono i giovani che entrarono nell'Ordine fondato dal Santo eremita: tra questi ricordiamo Mariano da Abbateggio, monaco della cerchia di Celestino e futuro funzionario vescovile nella città dell'Aquila. Gli eremi e i luoghi di culto rupestre sono il frutto di un lavoro avvenuto per mano dell'uomo ma che non ha modificato l'ambiente: ciò rende evidente la grande comunione creatasi tra gli elementi naturali e la discreta presenza umana, e che oggi rappresenta una peculiarità della Maiella. Nei dintorni di Abbateggio sono ben quattro gli eremi raggiungibili dai sentieri che partono dalla Valle Giumentina e che conducono attraverso fitti boschi di faggio, torrenti e valloni impervi verso luoghi di grande spiritualità.

SAN BARTOLOMEO IN LEGIO

Si presenta con un alzato murario in pietra incastonato sotto la roccia. L'eremo, infatti, sorge su una spelonca lunga oltre cinquanta metri che si affaccia sull'omonimo vallone di San Bartolomeo. Indagini archeologiche hanno evidenziato la frequentazione di questo luogo già a partire dal Paleolitico, mettendo in luce una continuità nell'occupazione fino al periodo medievale. Attorno agli anni '70 del  1200 fu dimora di Celestino V, che vi soggiornò per breve tempo. L'accesso al complesso religioso è dato da un sentiero che dalla Valle Giumentina scende nel vallone di San Bartolomeo e risale verso l'eremo, con un tracciato che termina con una scala santa ricavata dalla roccia. Una seconda via di ingresso, invece, giunge dalla località Macchie di Coco, e termina anch'essa con una scala santa scolpita all'interno della roccia da percorrere in discesa. La piccola struttura ha due vani, preceduti da una facciata decorata con affreschi raffiguranti Cristo e la Madonna col Bambino. Nello spazio liturgico, che coincide con la prima stanza, si trova l'altare, su cui è posizionata la statua lignea del santo che tiene in mano i simboli del suo martirio: il coltello e la pelle. L'altra stanza era di servizio e utilizzata dai monaci e dai pellegrini per dormire. All'esterno si trovano piccoli canali scolpiti nella pietra che tutt'oggi drenano l'acqua che sgorga dalla roccia, convogliandola verso delle vasche di raccoglimento.

SANTO SPIRITO A MAIELLA

Nel luogo in cui è sorta la magnifica badia di Santo Spirito doveva essere già esistente una qualche forma di frequentazione cultuale risalente già a prima dell'anno Mille. Pietro Angeleri, noto anche come Pietro da Morrone e Papa col nome Celestino V, vi soggiornò attorno alla metà del '200, avviando la costruzione di un piccolo ricovero per se stesso e una cappellina per pregare. Successivamente, però, attorno alla sua figura si venne a raggruppare una cerchia di monaci che desideravano condurre vita eremitica. Fu a quel punto che, con determinazione e mossi dalla fede, avviarono con grande fervore i lavori per realizzare un complesso monastico che divenne il centro principale dell'Ordine dei celestini. L'eremo si trova a mezza costa lungo l'omonimo vallone di Santo Spirito, circondato dai boschi di faggio della Macchia di Abbateggio e di Colle Tondo. La chiesa, la sagrestia e le cellette dei monaci rappresentano il nucleo principale, che probabilmente sorge su un più antico e precedente romitorio. Sebbene l'eremo di Santo Spirito nasca in un contesto rupestre, dopo l'arrivo di Pietro da Morrone, la crescente comunità di monaci raccolti attorno alla sua figura resero necessari degli ampliamenti per ospitare i pellegrini. Il luogo nel corso dei secoli godrà di momenti di grande prestigio alternati ad altri di decadenza. Tra i personaggi celebri che hanno dimorato a Santo Spirito ricordiamo Torquato Tasso, che in una lettera del 1592 scrisse a riguardo: "Avrei fatto volentieri un'altra volta la strada di Abruzzo, quale feci in pessima stagione, senza compagnia, con tutti i disagi e con molti pericoli ma meno carco d'anni ne d'ingiurie". L'episodio si riferisce alla sua fuga da Ferrara verso Sorrento, avvenuta nel 1577, dopo che ai primi segni della sua malattia mentale fu rinchiuso nella città estense.

SAN GIOVANNI ALL'ORFENTO

Situato in un luogo impervio e non di facile accesso, l'eremo di San Giovanni all'Orfento è nascosto nel fitto dei boschi di faggio all'interno della Valle dell'Orfento. Posto a oltre 1200 metri di quota, è interamente scavato nella parete della montagna e vi si può accedere solo dopo essere saliti sulla scala santa, che conduce ad un imbocco percorribile strisciando con il ventre a terra in un cunicolo compreso tra due speroni di roccia. La scelta di ritirarsi in un luogo cosi inaccessibile fu presa da Pietro da Morrone. Sempre più fedeli e monaci, infatti, volevano incontrarlo e ciò distoglieva Pietro dai suoi propositi di vita ascetica e contemplativa. E' stato accertato, però, che il luogo era già frequentato da gruppi umani nell'età del Bronzo. Celestino V vi soggiornò dal 1284 al 1293, accompagnato da una cerchia di seguaci molto ristretta: essi avevano istituito una piccola comunità ben adattata alle difficili condizioni ambientali. Il romitorio vero e proprio consisteva nello spazio ricavato dalla grotta, che a sua volta faceva da copertura per un riparo sottoroccia dove vennero realizzati una piccola cappella, le celle dei monaci e alcuni ricoveri per i viandanti. Singolare è la presenza di un ingegnoso sistema idrico fatto di scolatoi e vasche, interamente scolpito nella pietra, per la canalizzazione dell'acqua.

SANT'ONOFRIO ALL'ORFENTO

Luogo di culto rupestre probabilmente costruito a cavallo tra il XII e il XIII secolo, non sembra essere legato alla figura di Celestino V. Nessun documento, infatti, lo mette in relazione con l'opera intrapresa da Pietro Angeleri volta alla ricostruzione degli antichi cenobi rupestri, che, come è stato accertato, erano già esistenti sulla Maiella prima del suo arrivo. Gli abitanti del luogo frequentavano l'eremo di Sant'Onofrio per pregare ma anche per usi funerari: alcune fonti, infatti, riportano notizie circa la presenza di sepolture di pastori e taglialegna morti in montagna, e ciò è stato confermato anche dalle ricerche archeologiche. Tutto quel che resta della struttura originaria è il muro della chiesa addossato alla parete rocciosa. Il luogo è stato frequentato da pastori e contadini che vi trovavano riparo ancora fino agli inizi del '900.