IL FARRO


ABBATEGGIO IL PAESE DEL FARRO

A partire dagli inizi del '900, la varietà genetica delle piante coltivate si è drasticamente ridotta di circa il 70%. Attualmente la popolazione mondiale soddisfa i propri bisogni nutrizionali grazie ai frutti di sole 30 piante. Per questi motivi risulta fondamentale attivare azioni di tutela e valorizzazione della biodiversità agricola, soprattutto a livello locale. È all'interno di tale contesto che ad Abbateggio sono state avviate già da diversi anni delle iniziative volte alla riscoperta del farro. La storia di questo antico cereale ha segnato il cammino dell’uomo fin da tempi antichi, ma la coltivazione si è andata sempre più riducendo quasi fino a scomparire. Ad Abbateggio, invece, la presenza del farro non è venuta mai meno grazie ad alcune famiglie del posto che hanno tenuto in vita le sementi per la coltivazione. Il piccolo borgo del pescarese si è posto tra i comuni capofila per la salvaguardia di questa antica coltura, sapendo rivalutare anche il bagaglio delle tradizioni, degli usi peculiari e delle qualità nutrizionali. Conosciuto come il “Paese del Farro”, Abbateggio presenta caratteristiche fondamentali per la semina dei cereali: il territorio prevalentemente montuoso e pietroso ha condizionato l'attività agricola e ha conferito ad alcune colture caratteri di specificità. Il farro, che si è adattato benissimo a questi terreni pedemontani e ai climi freddi, è venuto cosi a rappresentare storicamente una fonte di cibo primaria per gli abitanti del luogo. Ogni anno in paese viene organizzata una manifestazione nella quale vengono riproposti i piatti della tradizione legata al farro.


LE ORIGINI E LA STORIA

Campo coltivato a farro nella campagna abbateggiana
Campo coltivato a farro nella campagna abbateggiana

Il farro, originario del Medio Oriente, inizia ad essere coltivato attorno a 5000 anni fa, e giunse nella penisola italica attraverso l’Egitto e il Mediterraneo. Per la sua adattabilità si diffuse in maniera massiccia e dall'antichità fu coltivato almeno fino al Medioevo. In epoche successive il suo impiego venne progressivamente abbandonato a favore del grano. Quest’ultimo, infatti, già alla fine della trebbiatura era pronto per essere macinato, mentre ai chicchi di farro rimaneva attaccato il glume, un involucro che con la trebbiatura non si staccava: ciò rendeva necessaria una ulteriore fase di lavorazione, detta decorticazione, in modo da poter macinare i chicchi e ottenere la farina.  Il momento di massima diffusione sul territorio italico si ebbe durante il periodo romano, in quanto i legionari venivano alimentati con zuppe e focacce di farro. A questo cereale sono state attribuite valenze religiose nei rituali praticati al fine di propiziare la buona resa dei raccolti: le notizie tramandate da alcuni autori antichi ci informano che il farro veniva impiegato per offerte agli dei allo scopo di auspicare la fertilità. Ciò accadeva già presso i popoli italici ed è continuato in epoca romana. Le fonti antiche ci informano anche su altri aspetti, come l'etimologia dei nomi e l'impiego che veniva fatto in cucina. Catone nel De Rustica chiama con il nome di far una specie di grano: si tratta proprio del farro, che discende il nome odierno dal latino. Sempre Catone ci dice che il far veniva macinato e ridotto in farina; il prodotto ottenuto dalla macinatura del farro veniva impastato con acqua, al fine di ottenere una pietanza di consistenza poltigliosa chiamata dai romani puls, antenata dell'odierna polenta. Orazio riporta anche una ricetta utilizzata dai romani a base di farina di farro, acqua e sale, chiamata mola salsa.


FARRO: I TIPI E LA LAVORAZIONE

Esistono tre tipologie di farro distinte in base alla conformazione vegetale della pianta e del frutto e per altre caratteristiche come la resa. Il triticum monoccocum, ossia il farro piccolo, rispetto al farro medio e al farro grande ha bisogno di più tempo per la spigatura e di conseguenza la maturazione avviene con dieci o quindici giorni di ritardo. Il triticum monococcum non è adatto ai climi con sbalzi termici nei quali le temperature diventano subito a carattere estivo e non sopporta lunghi periodi di siccità. Il farro medio, triticum diccocum, è il farro della tradizione e quello più diffuso in Italia, coltivato sopratutto sulle fasce collinari dell'Italia centro-meridionale. È molto resistente ai climi freddi e si adatta a terreni poveri e pietrosi. Infine abbiamo il triticum spelta, il farro grande che è il più resistente ai climi freddi. La pianta è più grande rispetto a quella del farro piccolo e medio e con le giuste condizioni ambientali riesce a ad avere un'ottima resa produttiva. Le tre specie hanno dei tratti in comune per quanto riguarda la presenza del glume, una sorta di membrana vegetale che avvolge il chicco. Con la trebbiatura il glume non si stacca e per poter macinare il farro occorre effettuare la decorticazione per eliminare la membrana vegetale. La funzione del glume è molto importante perché rende più resistente il frutto agli attacchi dei parassiti o degli insetti nocivi. Un'altra lavorazione precedente alla macinatura riguarda la possibilità di ridurre il quantitativo di fibre del farro in quanto è molto ricco di queste sostanze. Questo processo chiamato perlatura è facoltativo e non intacca le qualità alimentari. 


PRODOTTI ENOGASTRONOMICI

Nella cucina tipica di Abbateggio il ruolo principale, come è ovvio, è svolto dal farro. Questo cereale è alla base di una moltitudine di piatti tradizionali: dalla insalata di farro alla classica minestra, cotta a lungo in brodo vegetale, alle caratteristiche sagne poi condite con fagioli o ceci, alla classica pasta alla chitarra con sugo di carne di agnello. Il farro è impiegato anche per la preparazione di ottimi dolci casarecci, soprattutto crostate con marmellate di frutti spontanei come prugnola, mela cotogna, mora o frutta secca. I prodotti di origine animale sono soprattutto carne di pecora e di agnello, ricotta e formaggi di pecora con cui si preparano le famose "pallotte casc e ov", polpette senza carne fatte di uova e formaggio condite con pomodoro. Onnipresente, come in tutto il centro-sud Italia, è l'olio extravergine di oliva, prodotto dai numerosi uliveti coltivati nelle campagne a valle del borgo.